Il poeta ebbro: Anna Manna intervista Lorenzo Spurio

Il poeta ebbro: Anna Manna intervista Lorenzo Spurio

Per il progetto #igrandidialoghinelweb ideato e curato da Anna Manna un'intervista al poeta Lorenzo Spurio. Il testo si inserisce all’interno dell’ampio repertorio di interviste ad autori e artisti sotto la definizione di “Le interviste sul battello ebbro”

  • 29 novembre 2021
  • Cultura
  • Redazione

Nei marosi del mondo in tempesta quale sentimento ti avvolge: - La nostalgia per il mondo di prima; - la spinta al mondo nuovo; - l’illusione che questi due anni passati siano stati solo un momento di squilibrio generale?

 

La condizione d’insicurezza della tempesta e di continuo mutamento ci coinvolge tutti e da sempre. Questa ampia e dolorosa esperienza del Coronavirus, obbligandoci a una serie di lontananze e limitazioni, ci ha fatto forse meglio ragionare sulla dinamicità e sulla trasformazione continua delle nostre esistenze. Forse ce ne siamo resi ancor più conto – come spesso avviene in casi d’assenza – proprio nel contesto delle tribolazioni limitative e delle prescrizioni imposte dall’alto. Tornando alla tua domanda, però, devo dire che nei marosi in tempesta mi avvolge un sentimento d’imminente perdita e, dunque, di scollamento dalle certezze che posso ritrovare in quella nostalgia per il mondo di prima.

 

Per te, poeta, in questi nostri giorni dilanianti, la poesia è mai stata una fuga dal reale? La realtà contiene una qualche scintilla poetica e viceversa?

 

La poesia è al contempo fuga dal reale e realtà. Non possiamo arroccarci in considerazioni che non hanno plausibilità – che spesso si ascoltano a dismisura – che la poesia sia semplicemente un atto figurativo, un’astrazione, l’esternalizzazione di un qualcosa che non ha appigli alla realtà. Essa è per forza di cose (per lo meno per chi si lascia travolgere e non la “costruisce” a tavolino) la scaturigine di un fenomeno che forse non ci è dato conoscere razionalmente, ma che percepiamo, e del quale ne cogliamo gli influssi ideativi, psichici, mnemonici, affettivi e così via. Quanto alla seconda domanda, più difficile rispondere. Realtà e poesia, vita e sentimento lirico non credo rappresentino una simbiosi certa e univoca (anzi, sarebbe pericoloso crederlo). La realtà è molto spesso priva di poesia. Il quotidiano, il concreto, la semplicità, l’ordinarietà e il ragionamento sono ambiti per lo più sterili poeticamente parlando. Federico García Lorca parlando in una conferenza di ispirazione, immaginazione ed evasione ebbe a sostenere che l’immaginazione è senz’altro auspicabile – e vero humus del poeta, come pure del creativo – ma da sola non basta perché l’uomo, che è essere cosciente, concepisce tutto in termini che rimandano alle sue capacità intellettive. L’ispirazione spesso non è che l’anticipo proprio di una fuga che si è intrapresi. Fughe che, è bene dirlo, non per forza si realizzano nello spazio.

 

Credi davvero che il mondo possa rinnovarsi oppure le dinamiche eterne continueranno a dominare il mondo? E la poesia ha un ruolo in questo percorso di rinnovamento?

 

Se con “dinamiche eterne” ti riferisci agli aspetti pratici, consuetudinari e ripetitivi dell’uomo, come pure a tutte le storture che nel complesso umano nascono, intaccano la natura primigenia del Bene, producono dolore e creano dissidi, credo che, purtroppo, si continuerà su questa strada. Ce lo dimostrano – esempio forse banale ma lampante – le situazioni – pure pregevoli – in cui si cerca di dedicarsi all’incontro per imprimere un cambiamento sostanziale per il bene collettivo (vedi il tema ambientale discusso dalla Cop26 a Glasgow) che però rimangono lettera morta, promesse disattese e, ancor più, motivo di divari che si ampliano. Purtroppo siamo in un’età in cui la cupezza del contesto sociale non credo permetta edenici voli di speranza, seppure la porta ad un cambiamento buono, reale ed efficiente non deve mai essere serrata. Se la poesia ha un ruolo in un processo di rinnovamento vorrei dire di sì, essendo assiduo sostenitore della poesia civile, di reale impegno sociale, anche se credo che la sua voce vada diventando sempre più flebile. Meno incisiva (anche) perché (forse) meno persuasiva. Anche le grandi battaglie etiche e di difesa dei diritti civili che alcuni poeti abbracciano sembrano in taluni casi porsi come spettacolarizzazione gratuita o motivo per voler protestare senza se e senza ma perseguendo un atteggiamento qualunquista poco definito e per lo più sfumato e vago, quando non venir interpretate come slogan attorno (o dietro) ai quali s’insinuano convincimenti dottrinari, ideologie, apologie di varia natura.

 

 

La cultura europea è consapevole dei suoi tesori culturali?

 

Credo che la cultura europea – Paese di più, Paese di meno – sia ben consapevole delle proprie ricchezze e ce lo dimostrano i tanti progetti educativi, percorsi culturali, conferenze, mostre e quant’altro tese non solo a tutelare e valorizzare il nostro patrimonio culturale ma a renderlo sempre meglio fruibile. Il lungo periodo di segregazione domestica del Lockdown ha visto un implemento degli accessi nei siti tematici di musei e gallerie multimediali. Certo non è la stessa cosa vedere la Gioconda o i tanti particolari di Guernica seduti sulla propria sedia ergonomica dinanzi a un video che vederli di presenza. Eppure in molti hanno sfruttato le metodologie informatiche – che sono state ulteriormente implementate in tale contesto – per non rimanere affamati di cultura. L’attenzione per la digitalizzazione, che anche le nuove misure governative ha messo al centro degli interessi, va in tale direzione: non solo in una facilità amministrativa e un abbattimento burocratico, ma anche una reale facilitazione per chi (anche quando sarà terminata la pandemia) per mille ragioni (invalidità fisica, scarse capacità economiche, etc.) non può viaggiare per visitare musei, centri culturali, prendere parte a conferenze, etc.

 

 

 

Chi ti legge perché secondo te lo fa? Perché è tuo amico, perché cerca risposte dagli sconosciuti, perché gli manca qualcosa?

 

Le poesie non danno mai risposta a niente (le mie ancor meno) o, tutt’al più, sono molto abili a generare dilemmi, instillare dubbi, divaricare ferite verso abissi, depistare, far intendere qualcosa ma non precludere anche dell’altro. Credo che chi concepisce la poesia come qualcosa che contenga materiale informativo (come può essere un articolo giornalistico, un saggio o il bugiardino di un medicinale) sbaglia l’approccio. Secondo me la poesia è un bagliore e, come tale, va colto nell’atto stesso in cui questo si manifesta. Luzi parlava di magma, Antonia Pozzi di nudità, qualcun altro a me caro di ossatura. Sono tutte immagini che mi piacciono e che credo possano ben avvicinarsi al concetto di poesia. Chi si avvicina alla mia poesia credo che lo faccia sia perché ha già letto altre opere precedenti (e forse mi conosce di persona) ed è interessato ad assistere a un possibile cammino poetico, per vederne mutazioni e divaricazioni o per curiosità. Credo che il libro “Pareidolia” che pubblicai nel 2018 destò molta attenzione – anche nella critica – in parte anche per il titolo senz’altro non comune che impone, per la maggior parte delle persone, una ricerca, richiama a un’attenzione particolare. Non credo che a chi manca qualcosa possa sentirsi compiaciuto o sazio dopo aver letto un libro di poesie. Bisogna avere la giusta predisposizione e il conteso appropriato per avvicinarsi o addentrarsi nella poesia. Non credo sia una pastiglia di un colore appassito da prendere all’occorrenza.

 

Mentre scrivi lo fai per te, per i lettori, per cercare in te risposte, per confessarti, per il successo, perché è un tarlo che ti divora?

 

Le ragioni, se così possiamo definirle, sono tante e tutte nascono da un’esigenza forte alla quale, se non venisse dato seguito, si proverebbe una sorta di malessere. Certamente il successo non è tra le motivazioni – direi gli impulsi – che muovono (piuttosto chiamano) alla scrittura delle poesie. Senz’altro è un confessarsi e, nel far questo, anche un ricercarsi e un ritrovarsi. È un vedersi da dentro ma anche un cercare di vedersi nei panni di un altro. Sta di fatto che è la trascrizione di uno stato emotivo, di un vissuto, di una pillola esistenziale. C’è sempre uno scarto tra la forza e l’autenticità in cui viviamo la nostra vita e come riusciamo a rappresentarla graficamente. Credo che minore sia questo divario più il poeta possa dirsi realmente efficace. La sua efficacia è data da un sentire oltre che non è mera immedesimazione o mimesi ma una compartecipazione sentita dei propri antri interiori anche sulla carta, per chi se ne appropria con la lettura.

 

La memoria è parte della poesia? La esalta, la cancella, riporta i sentimenti alla tua sfera personale oppure innalza la gioia e il dolore al di sopra delle parti?

 

La memoria è parte inscindibile dell’uomo e, in quanto tale, anche di ogni suo prodotto proprio come la poesia. Ritengo che in assenza di una memoria (sia essa personale, familiare o allargata, collettiva e sociale) l’uomo non possa agire responsabilmente in maniera congrua, onesta e solidale verso l’altro. Il fatto che molte tragedie della storia hanno visto gli uomini percorrere un medesimo pezzo di strada sincronicamente intagliando la propria identità personale e nazionale non va concepito come qualcosa di reminiscenziale e meramente residuale. Al contrario rappresenta il lastricato sul quale si erigono, giorno dopo giorno, le fondamenta di un istituto più ampio, immerso in una crescita continua, votato al progresso. Tanta poesia celebrativa – penso a quella risorgimentale e patriottica – ha esaltato la storia e determinati momenti di essa, contribuendo a innalzare o, al contrario, a infangare personaggi, decretando eroi ma anche creando miti negativi. Si è trattato, però, di un momento di concitazione in cui anche i letterati non hanno non potuto inserirsi nel contesto di fermento sociale che avrebbe portato alla creazione degli stati moderni. Molti poeti nel nostro oggi hanno una poetica prevalentemente (quando non unicamente) diluita su scaglioni di età andate, momenti del proprio passato familiare, pillole di ricordi agro-dolci quando non melensi e strappalacrime. Non credo sia da condannare. Ognuno scrive di quel che vuole e di quel che sente il bisogno, è ovvio. Ritengo che la mia poesia, laddove abbia elementi che si riferiscano in senso lato alla memoria, siano iscritti in una visuale che, comunque, mai esclude la proiezione al presente o il quesito per il futuro.

 

Ce la faremo a mantenere viva la Poesia?

 

Dobbiamo farlo. Non sono certo che riusciremo a farcela ma dobbiamo tentare di farlo. Cercare di mantenere viva quella fiammella fioca che, sottoposta a intemperie di ogni tipo, rischia continuamente di spegnersi in maniera ineluttabile. È richiesto non solo un impegno collettivo, nutrito di un bene corale e di uno spirito solidale, ma soprattutto sincero e votato alla difesa dell’arte in senso esteso. Spesso l’egoismo di alcuni nell’organizzare un evento che parte con una base culturale finisce per trasformarsi in autocelebrazione; non di rado nomi in vista vengono prestati facilmente per iniziative, dietro lauto guadagno, per imprimere l’idea, verso terzi, che quel progetto sia prestigioso e di alta levatura. Bisogna togliere il velo di Maya dinanzi a tanti biechi atteggiamenti che nel nome della cultura non fanno altro che svilirla, offenderla e minacciarla. La poesia deve evitare al contempo l’esasperato cerebralismo di alcuni che può relegarla in una nicchia valicabile da pochi, non più i noti “amanti” lorchiani ma subdoli iniziatici. E vi è un bisogno che si evidenzi la collusione e le meschinità diffuse che, in questo mondo come in ogni altro, purtroppo veleggiano indisturbate.

Lorenzo Spurio

Jesi, 27/11/2021

 

 


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