Tenebrezza

Tenebrezza

Il nuovo libro di Davide Cortese "Tenebrezza" edito da L'Erudita è denso della storicità del mondo

  • 16 aprile 2023
  • Libri
  • Redazione

La tenebrezza è uno stato di coscienza che abbraccia una storicità universale. L’io di Tenebrezza oltre a non essere un io conchiuso in se stesso, fonda nella storicità del mondo i presupposti della sua stessa ontologia. Tenebrezza è, infatti, un libro denso di questa storicità, laddove vivere non soltanto è l’espiazione di una condanna biografico-individuale, ma qualcosa di più profondo, qualcosa che avverte costantemente il peso dei meccanismi causali che l’hanno portata ad essere ciò che è; ed è proprio per questo che l’essenza di questo io risulta irrintracciabile, che vi è “questa distanza tra me e me” incolmabile che riguarda l’io e l’io e con lui tutte le cose del mondo.

In questo, almeno concettualmente la separazione tra soggetto e oggetto è minima, laddove invece assume maggiore peso quella tra il soggetto e il soggetto stesso. È anche per questa ragione che l’infanzia, in una visione completamente ribaltata rispetto a quella tradizionale, è l’epoca della saggezza, un’epoca nella quale, quel mondo interiore, ancora parzialmente privo del filtro dell’ego, può avvicinarsi alle cose come l’adulto, compromesso, non potrà più fare. Anche al male si avvicina il bambino, ancora fuori dalla terra del peccato, della colpa e della responsabilità forense che gli getterà addosso il mondo nel momento della costituzione di una identità sociale responsabile.

In questo senso, in continuità con Zebù Bambino, anche da Tenebrezza fuoriesce un’immagine del male ridimensionata, fatta scendere da quel piano trascendente della tradizione e portata invece a un piano ontologicamente più basso ma biograficamente molto più viscerale: quello dei primi anni di vita. È così che viene a formarsi il male, annidato dietro il sorriso tenero di un bambino cresciuto da un attaccamento ambivalente o completamente mancante; condizione che lo farà indirettamente o direttamente proiettare negli archetipi del male perché più vicini a quello stato interiore di abbandono o di violenza a lui ordinari, finendo per fargli assumere quelli stessi archetipi come un’acquisizione propria. La dicotomia luce-buio evidenziata dai versi di questo libro insiste a mio avviso su una visione di male e bene non come già entità ontologicamente separate, e nemmeno come meri concetti forensi, ma come modi di esistenza sfumati, intimamente legati alla biografia dell’io e al rapporto con quel tu che quell’io lo costruisce (spesso in modo disfunzionale). La forza di questa posizione è tanta che questo libro ci sta dicendo che, sì, possiamo parlare di male anche in un bambino. 

Luce e buio in Tenebrezza non si alternano, ma coesistono strutturalmente, Tenebrezza ci mostra che c’è della bellezza anche in questo dolore, nel dolore dello stare al mondo, nella condanna di essere vivi, è possibile trovare una salvezza ‘esulta nell’iride tua una rondine sottratta alla morte’, non già da intendersi come una terra salva d’approdo ma come un valore intralingustico da rinnovare attraverso la cura dei rapporti umani, dell’amore, sia verso le persone che verso quella natura che costruisce e costituisce i confini della nostra realtà fisico-emotiva. Soltanto così è possibile cogliere la felicità nella miseria delle cose, vivere l’adolescenza del buio evitando di approdarvi, con la coscienza che questo buio forma parte essenziale della nostra soggettività e dell’oggettualità delle cose tanto quanto ne forma parte la luce. Morire, è, sì, un salto nell’oblio, ma da pagare con la luce ‘in fondo alla via c’è una bottega / dove si paga con la luce del giorno / tutto il buio che occorre per la notte’. In questo senso, Tenebrezza è splendere di disperazione. Leggete questo libro di Davide Cortese perché ne varrà la pena.

Riccardo Delfino


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