Gianni Antonio Palumbo e le "Rime" di Isabella Morra

  • 25 luglio 2020
  • Mario Sicolo

Scrivere poesie è sempre un atto d'amore. Un canzoniere, poi, è un testamento che canta i più segreti palpiti del cuore. Il tempo ne corrobora la profonda bellezza. È proprio quel che è accaduto all'opera di Isabella Morra o da Morra, poetessa del Cinquecento, che, studiando il modello sublime di Petrarca, senza trascurare altri autori, ha messo in versi tutto il suo dolore per un amore tormentato che non divenne mai realtà.

A ripercorrere con sensibilità rara e acribia minuziosa sia la tragica vicenda biografica - l'autrice morì uccisa dai fratelli filofrancesi per imposizione paterna perché si era invaghita di un signore iberico, don Diego Sandoval de Castro - e la pregevolezza alata delle sue liriche è stato Gianni Antonio Palumbo,professore presso l'università degli studi di Foggia. Nella splendida cornice della Libreria del teatro di Gianluca Rossiello, il critico letterario ha presentato l'aureo libro dal titolo semplice e pur fascinoso Rime, nel quale ha illustrato la bellezza dello stile morriano e la metamorfosi di Favale, da locus horribilis ad amoenus grazie alla luce della fede, che lenirà temporaneamente la ferita del suo cuore.

Per l'occasione, il fautore della serata, Nicola Abbondanza, ideatore del Cenacolo dei Poeti, ha proposto la costituzione di un comitato per i 500 anni dalla nascita di Isabella, con l'intento di coinvolgere anche le scuole del territorio. Un'iniziativa che non potrà che accrescere ulteriormente l'offerta culturale della nostra città.


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