I terribili esperimenti nazisti per studiare la reazione umana al freddo

  • 15 febbraio 2020
  • Michele Cotugno

Il freddo. Un killer implacabile che ha sbaragliato interi eserciti. Un nemico che, tuttavia, può trasformarsi in un prezioso amico, in grado, addirittura, di salvare la vita. 

È stato il tema dell’incontro “La freddezza del male: gli esperimenti di Dachau e la medicina moderna”, organizzato, nell’ambito della rassegna Memento, dall’Accademia Vitale Giordano 

Cosa c’entra, si dirà, tutto questo con una rassegna dedicata ai crimini contro l’umanità del ‘900? C’entra, perché, tra coloro che si sono chiesti in che modo il corpo umano reagisca all’assenza di calore, ci sono stati gli scienziati nazisti, che, nel campo di concentramento di Dachau, hanno condotto crudeli esperimenti sui prigionieri russi, per capire fino a che punto l’organismo umano potesse resistere. Esperimenti che per tanti anni, sono stati, per la scienza successiva alla fine della Seconda Guerra Mondiale, un tabù, un capitolo da dimenticare.

Ne ha parlato il professor Matteo Cerri, dell’Università di Bologna, che su questi argomenti ha scritto un libro dal titolo “La cura del freddo”. 

Solo dopo che l’onda emotiva legata a quegli orrori si affievolì, si cominciò a prendere in considerazione l’idea di consultare i risultati di quelle ricerche, per capire se, al di là delle modalità crudeli, avessero portato a conoscenze utili. 

E la risposta fu negativa.


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