Storia di Mario Licinio, autentica bandiera del calcio neroverde
- 01 marzo 2020
- Mario Sicolo
Quando un uomo diventa il sogno di un bambino, entra nella leggenda del cuore per non uscirne più. Il piccolo Danilo scendeva per strada - già, proprio lì, per strada, ché era lei la giudice suprema del talento calcistico dei ragazzi d'un tempo- col pallone sotto il braccio e, pugni cocciutamente stretti, dribblava pure le auto perché voleva diventare come lui. Solo come lui: Mario Licinio, bandiera autentica del calcio neroverde.
Dunque. Essere stato calciatore come lo è stato Mariolino, a cavallo fra gli anni Sessanta e Settanta, significava aver attraversato il mondo del pallone seguendo i dettami dell’etica e della lindura interiore.
Centrocampista mai banale e dal piede euclideo, era il punto di riferimento per tutti coloro che gli giocavano accanto. In lui, il senso della geometria giammai era disgiunto dall’equanimità.
Peraltro, mentre calcava i campi con la casacca neroverde di quel Bitonto glorioso che il mondo (dei dilettanti) tremare faceva, già studiava da maestro, termine sublime oggi iniquamente soppiantato dall’anglosassone mister. Dettaglio da rimarcare: nell’impegno agonistico sapeva cogliere sempre il tutt’altro che trascurabile portato pedagogico.
Infatti, prima condusse quei leoni –tra i quali c’erano davvero tanti concittadini: Sblendorio, Perrini, Di Mundo, De Michele, Labianca tra questi – in IV serie, che era davvero il quarto campionato dello Stivale, e poi divenne allenatore di gran vaglia, anche se non sempre accompagnato dalla buona sorte, specie quando sedeva sulla panca della squadra del suo borgo natio.
Finché una brutta malattia non l’ha rapito anzitempo ai suoi cari e agli amici. Che non lo hanno affatto dimenticato, avendogli dedicato oltre che mille grate memorie pure un campetto di calcio a 5, dove crescono bambini. Che ancora sognano di diventare come lui, proprio lui: Mariolino Licinio.